Emergenza Nuovo Corona Virus e Procreazione Medicalmente Assistita: cosa si può fare ora? A quando la ripresa?

Emergenza Nuovo Corona Virus e Procreazione Medicalmente Assistita: cosa si può fare ora? A quando la ripresa?

La diffusione del COVID19 in tutto il mondo ha comportato, ormai da settimane, l’interruzione della normale attività dei Centri di Procreazione Medicalmente Assistita, che hanno potuto portare avanti solo i trattamenti urgenti ed indifferibili.

Il Gruppo di Interesse Speciale sulla Sterilità (GISS) della Società Italiana di Ginecologia ed Ostetricia (SIGO) e delle sue Federate (AOGOI – Associazione Ostetrici Ginecologi Ospedalieri Italiani), (AGUI – Associazione Ginecologi Universitari Italiani), (AGITE – Associazione Ginecologi Territoriali) ha elaborato un documento nel quale si identificano modalità, tempistiche e condizioni di riavvio dell’attività dei centri PMA, in piena sicurezza per pazienti ed operatori. Al responsabile del network 9.baby, dott. Andrea Borini, che fa parte del Direttivo del GISS abbiamo chiesto qualche chiarimento.

 

Dott. Borini, quali sono le motivazioni alla base del divieto di proseguire la normale attività dei centri di PMA?

L’interruzione dell’attività ordinaria è stata decisa prima di tutto in considerazione della necessità di ridurre fino ad evitare lo spostamento delle persone e l’accesso alle strutture cliniche per contenere i possibili contagi e di ridurre al massimo i rischi di accesso ospedaliero dopo i cicli di PMA, in caso di eventuali complicanze. Naturalmente, sono stati portati a termine i cicli con stimolazione già iniziata e le procedure di crioconservazione della fertilità in pazienti oncologici/oncologiche, perché rispondono ai caratteri di urgenza e indifferibilità stabiliti come criteri per effettuare o meno una procedura medica. Tutte le società scientifiche internazionali e la Società Italiana di Fertilità e Sterilità e Medicina della Riproduzione (S.I.F.E.S. E M.R.) si sono fatte portatrici della raccomandazione di non intraprendere trattamenti di fecondazione assistita e di posticipare i trattamenti fino alla fase di discesa del picco, prevista in un lasso di tempo di non più di due/tre mesi.

 

Quali sono gli strumenti che avete messo in campo nelle vostre strutture per non abbandonare i pazienti nella fase 1?

I pazienti si sono sentiti molto disorientati: come tutti, vivono una fase di paura e incertezza, ma oltre a temere il COVID-19 come fonte di malattia, hanno dovuto abbandonare il percorso di ricerca di un figlio, già difficoltoso. Abbiamo pensato quindi di chiedere a tutti i nostri medici di rendersi disponibili a continuare a stare al fianco dei pazienti tramite gli strumenti digitali disponibili: email, come sempre, ma anche colloqui via skype. Lo abbiamo sempre fatto, ma solo come primissimo passo nel mondo della fertilità, per evitare magari a chi ci contattava dall’estero di dover venire fisicamente anche solo per chiarire qualche dubbio. Ora, invece, abbiamo deciso di offrire le prime consulenze a tutti coloro che desiderano cominciare il percorso con noi e abbiamo attivato adeguati strumenti e l’organizzazione di back office necessaria per poter erogare questa prestazione. Naturalmente, si tratta di colloqui gratuiti e, per quanto diversi dalla normale situazione di compresenza fisica, ci permettono di non interrompere del tutto il dialogo con i pazienti, attuali e potenziali. Penso che il digitale e la cosiddetta e-health ci farà compagnia molto a lungo e sono contento che i miei colleghi abbiano subito dato la loro disponibilità, capendo quanto conti per i pazienti sentirci vicini.  Al riavvio delle attività, dovremo utilizzare tutti gli strumenti della Tele Medicina in tutte le modalità possibili, anche per ridurre al massimo i tempi di permanenza nei centri dei pazienti.

 

Quali potranno essere i tempi del riavvio quindi?

Anche se al momento non ci sono, come sappiamo, date certe per il termine del cosiddetto lockdown, è stato indicato dal Presidente del Consiglio un percorso, suddiviso in fasi, che via via ci porteranno a riprendere le nostre attività. Sappiamo bene che il tempo è un fattore decisivo, che impatta fortemente sulle possibilità di successo dei trattamenti, anche in considerazione dell’età media elevata (e sempre in crescita) dei pazienti che si rivolgono ad un centro di PMA. Riteniamo quindi che sia necessario riprendere i trattamenti appena il lockdown generale sarà superato: decade infatti una delle ragioni principali del blocco di questo tipo di attività, cioè la necessità di non gravare sulle strutture sanitarie in caso di complicazioni, peraltro rare. La volontà di riaprire il prima possibile deriva anche dal fatto che si stima che ogni mese di inattività determina una mancata esecuzione in Italia di circa 7500-8000 trattamenti con una potenziale perdita di natalità mensile di circa 1500 bambini. Siamo un paese con un grave problema di crescita demografica, non è il caso di aggravarlo. Speriamo che la nuova partenza sia il prima possibile, intanto però abbiamo deciso di stilare indicazioni per tutti i soggetti coinvolti nei cicli di PMA proprio per ridurre al massimo i ‘tempi di latenza’ tra la possibilità di ripartire e il momento in cui le pazienti andranno in sala.

 

Quali saranno le procedure da seguire per l’ammissione nel centro dei pazienti?

Andrà garantito il distanziamento, riducendo al minimo il numero di persone contemporaneamente presenti nel centro PMA. Le coppie dovranno dotarsi di dispositivi di protezione individuali, se non li avessero sarà il centro a renderli disponibili. È necessario che le coppie accedano alle strutture senza accompagnatori e anche la presenza del partner deve essere ridotta al minimo, salvo quando necessaria (ad esempio al momento della produzione del campione seminale). Le sale d’attesa avranno un limite di capienza e gli appuntamenti verranno gestiti in modo tale da poter consentire il minor affollamento possibile dei centri.

 

Come si accederà ai trattamenti?

Oltre alla normale anamnesi che già oggi viene fatta per qualsiasi trattamento di PMA, sarà necessario somministrare, per via telefonica e per email, una scheda di ‘triage’ 7/10 giorni prima della data presunta di inizio della stimolazione ovarica controllata o, nel caso di transfer di embrioni congelati (Frozen Embryo Transfer – FET -), dell’inizio del ciclo di preparazione endometriale. Questo per poter capire, prima di avviare la stimolazione, se e quali rischi corre la coppia, monitorando l’insorgere di eventuali sintomi e per eseguire opportuni test diagnostici (tamponi/test sierologici). Si ripeterà il controllo, in caso di dubbio, anche al momento dell’avvio della stimolazione e naturalmente, qualunque sia stato l’esito del primo triage, al termine della stimolazione (o all’inizio della somministrazione di progesterone nel caso di FET).

 

In quali casi, dunque sarà possibile effettuare il trattamento normalmente, come accadeva prima della diffusione del COVID-19?

In tutti i casi nei quali anamnesi e controlli delineeranno un quadro di paziente e partner negativi si potrà procedere a pick up e transfer, salvo, ovviamente, insorgenza di sintomi di rilievo successiva alla somministrazione del questionario. Se invece questa condizione non si desse, il trattamento sarà sospeso (o nemmeno avviato, in caso di positività al primo triage) e la coppia sarà indirizzata alle strutture competenti perché possa effettuare l’opportuno iter diagnostico. Naturalmente, producendo la attestazione di negatività al COVID-19 sarà possibile riprendere il percorso, nei tempi e nei modi che si valuteranno più opportuni insieme allo specialista.

Sottolineo anche che va evitato il trattamento di pazienti a rischio più elevato di infezione/complicanze da COVID-19 a causa di condizioni cliniche preesistenti, ad esempio malattie renali, diabete, ipertensione, malattie epatiche, problemi cardiaci e tutte le malattie che causano compromissione immunitaria.

 

Tutto questo detto, il centro di fecondazione assistita è un ‘luogo sicuro’?

Assolutamente sì, lo era prima del Covid-19 e lo sarà sempre. I centri di PMA sono classificati come Istituti dei Tessuti: questo significa che siamo tenuti al rispetto di normative e procedure certificate davvero molto stringenti che rendono i nostri laboratori un ambiente a bassissimo rischio di contaminazione tra campioni biologici (embrioni, ovociti, spermatozoi). Peraltro, al momento, non si è trovata presenza del virus nel fluido follicolare, nel plasma seminale, o adeso ad ovociti, spermatozoi ed embrioni.

 

Quanto deve fare paura il covid-19 a chi sta per intraprendere il cammino della fecondazione assistita e più in generale a chi cerca una gravidanza ora?

Per quanto attualmente disponibile in letteratura e dalla casistica raccolta dai nostri ospedali, non ci sono prove di una trasmissione verticale del COVID-19 dalla madre al feto. In nessun paese del mondo le autorità sanitarie hanno dato indicazioni contrarie alla ricerca di una gravidanza spontanea in questo periodo. Di conseguenza, previa tutta l’attenzione possibile nella riduzione delle possibilità di diffondere il contagio, riteniamo che non ci sia ragione scientifica di avere timori ad effettuare una procedura di fecondazione assistita.

Le società scientifiche, dunque, aiutano operatori del settore e pazienti a capire meglio come potremo operativamente ricominciare ad aiutare la cicogna a prendere il volo. Noi, intanto, siamo al vostro fianco, anche se a distanza.

Qui trovate il documento completo della SIGO:

https://www.sigo.it/wp-content/uploads/2020/04/Raccomandazioni_GISS_PMA_06.04.2020.pdf